COME VINCERE LA SOLITUDINE?
Come vincere la solitudine? Tra i vari argomenti trattati dallo Studio Psiché di Milano con la Dr. Francesca Minore, in questo articolo vogliamo occuparci dei differenti tipi di solitudine per comprendere quando può sfociare in patologia. Infine scopriremo come intervenire per vincerla.
La solitudine – un privilegio
La solitudine è un toccasana quando intesa come spazio di pace in cui ricentrarsi, ritrovare se stessi, ascoltarsi. E’ importante e salutare ritagliarsi momenti in cui restare con se stessi e saperne godere. L’organismo ne beneficia, specie se il ritmo della giornata è frenetico e stressante.
La solitudine – diversi tipi di solitudine
- Che fare però quando la solitudine ci appesantisce, quando sentiamo essere carente la rete di contatti con cui condividere e trascorrere tempo piacevole insieme? La soluzione appare scontata. Basta ascoltare quel bisogno e ingegnarsi per intessere nuove relazioni. Possiamo iscriverci ad un corso che ci appassiona, fare del volontariato, unirci ad un gruppo con cui condividere le nostre passioni. Già, in teoria sembra una strada facilmente percorribile. Eppure capita che ci si proponga di agire per poi trovare mille ostacoli che ce lo impediscono. E così ci ritroviamo ancora più soli, impotenti ed abbattuti. Questo genere di condizione è insidiosa. Perché se il periodo di impasse perdura, corriamo il rischio che lo stato di malessere in cui versiamo peggiori, che il nostro organismo ne risenta fisicamente e che la solitudine si tramuti in sintomo.
- Ci sono poi situazioni in cui la solitudine non è una scelta. E’ il caso per esempio dell’espatrio per motivi professionali o affettivi. Può accadere che il luogo di lavoro, le condizioni sociali, le differenze culturali non favoriscano l’inserimento come inizialmente auspicato. Di conseguenza si ingenera in noi uno stato di abbattimento costante e la solitudine diventa compagna fissa delle nostre giornate. In un circolo di malessere da cui è sempre più difficile uscire.
La solitudine – riconoscere la solitudine patologica
Quando la solitudine diviene patologia? Quando è correlata a sintomi quali insicurezza, inadeguatezza, bassa autostima, timore del giudizio altrui, senso di vuoto interiore. In questi casi infatti, lo stato di sofferenza, la visione di noi stessi e del mondo impediscono il contatto sociale. Il quale però rappresenta una necessità imprescindibile per gli esseri umani. Di norma, la solitudine patologica implica anche un peggioramento dello stato fisico, che si manifesta con disturbi psicosomatici (per es. colon irritabile, gastrite, cefalee, tensioni, dolori articolari) iposonnia, ipertensione, risposte infiammatorie, aritmie ecc.
La solitudine – quando sfocia in depressione?
Accade quando il soggetto soffre ma non riesce ad attivarsi per porvi rimedio. La depressione può presentarsi come depressione endogena quando la sofferenza non è riconducibile a eventi scatenanti né causata da fattori ambientali. La depressione reattiva rappresenta invece la risposta intensa dell’organismo all’esposizione protratta a situazioni di stress continuativo o eventi traumatici. Può presentarsi in forma unipolare o bipolare. Nel secondo caso i cicli depressivi si alternano a fasi espansive dell’umore.
La depressione è caratterizzata da sintomi psicologici quali: calo del livello energetico globale, perdita della spinta vitale, tono dell’umore perennemente basso, profonda tristezza, senso di solitudine, senso di vuoto, apatia (non percepire alcuna emozione) anedonia (perdita della motivazione/interesse per ciò che prima dava piacere) pensieri ricorrenti negativi, ruminazioni (processo cognitivo disfunzionale focalizzato su pensieri negativi) senso di colpa, mancanza di speranza, faticabilità, perdita dell’appetito, iper/iposonnia.
La solitudine – quando lascia il passo all’evitamento sociale?
La solitudine prolungata impedisce l’esercizio delle abilità sociali utili per stare a contatto con gli altri: capacità di socializzare, di far valere i propri diritti, di gestire il conflitto, di empatizzare, di ironizzare su se stessi, di gestire la critica altrui, di sviluppare autostima, autoefficacia, fiducia nelle proprie risorse sociali. Come dire, la pratica affina le competenze. L’isolamento abitua a stare protetti nella propria zona di confort, a non misurarsi, a non rischiare, a non fallire, a non mettersi in gioco. Non è raro il caso in cui, dopo un periodo di isolamento, al contatto con l’esterno si sperimentino disagio ed ansia, l’ansia o fobia sociale appunto. Si tratta di un disturbo caratterizzato dalla preoccupazione circa il giudizio altrui. Implica la paura di far brutta figura e di fallire. Nelle situazioni in cui si è esposti, l’ansia può diventare panico ed essere estremamente invalidante. Come aggravante, insorge il terrore che l’esperienza negativa si ripeta (ansia anticipatoria). Di conseguenza si inizia ad attuare tutta una serie di comportamenti protettivi che ci portano col tempo a limitare le occasioni di socialità. Finendo così involontariamente per innalzare un muro sempre più alto ed invalicabile.
La solitudine – le conseguenze della pandemia
Il termine giapponese hikikomori significa “stare in disparte” e definisce una sindrome caratterizzata da: uno stile di vita esclusivamente domestico, perdita totale di interesse e volontà per le attività lavorative o scolastiche. Quando non sussiste altra patologia a giustificarne l’insorgenza ed il fenomeno dura da più di sei mesi, si può affermare che la solitudine è sfociata nella sindrome hikikomori. La persona può giungere a respingere ogni contatto umano per anni, fin anche quello con i familiari. A differenza del pensiero comune, non si tratta solo di un fenomeno giovanile, ma riguarda ogni fascia di età. In Italia la pandemia, l’isolamento, la solitudine, l’abitudine allo smart working, hanno prodotto un incremento nel numero dei casi. Gli hikikomori sono in prevalenza persone colte, sensibili, intelligenti, ma fragili sul piano sociale, introversi ed inibiti. Ritengono di essere a proprio agio da soli e non sentono alcuna spinta alla condivisione.
La solitudine – il fenomeno degli hikikomori
La loro è una storia costellata dalle attenzioni dei genitori, spesso iperprotettivi. Nel corso dello sviluppo non gli è stato consentito di misurarsi, fallire, affinare le abilità sociali. E di norma restano dipendenti dai genitori ben oltre l’età evolutiva. Con cui sviluppano relazioni conflittuali che implicano accesi conflitti verbali e finanche violenza. Il disturbo tende ad aggravarsi e cronicizzare. Pertanto vale la pena di saper riconoscere i sintomi prodromici per intervenire tempestivamente. Di norma inizia con la solitudine e l’evitamento. Di attività sociali, ricreative, sportive. Poi si manifesta la preferenza per lo studio o l’attività lavorativa tra le mura domestiche, il che incrementa l’isolamento. La persona si mostra critica verso la società, non ne condivide i valori, ne soffre le pressioni. La solitudine e la dipendenza dalla rete non ne sono la causa dunque, piuttosto la conseguenza. Ancora una volta la solitudine rappresenta l’insidia da non trascurare. Può infatti ben presto lasciare il passo alla depressione, a problemi del sonno (inversione del ciclo sonno-veglia) e può condurre all’insorgenza di ossessioni e compulsione, come anche di disturbi dissociativi.
La solitudine – in conclusione… come intervenire?
Quando la solitudine cessa di essere un ristoro psico-fisico ma diviene condizione abituale a cui non sappiamo reagire, è il caso di prestare attenzione ai sintomi psico-fisici che accompagna. Non va trascurato nemmeno il fattore tempo: una solitudine prolungata può condurre all’ isolamento continuativo e all’insorgenza di una vera e propria patologia cronica. Come intervenire dunque? Un buon intervento di counseling individuale è la soluzione più efficace (qualora si provi disagio ad uscire di casa, si può optare per il servizio online). Durante gli incontri avremo modo di apprendere le abilità sociali utili a relazionarci agli altri sentendoci finalmente a nostro agio. Impareremo ad ascoltare le esigenze del nostro organismo per ingenerare uno stato di benessere e risolvere il disagio somatico. Potremo iniziare ad uscire dall’isolamento entrando in relazione con una persona capace di accoglierci e supportarci con gradualità fino all’uscita dal circolo vizioso della solitudine per aprirci di nuovo alla vita.
Studio Psiché – chi siamo
Negli ultimi anni, dato l’incremento di richieste, lo Studio Psiché di Milano ha messo a punto un servizio online di counseling e psicoterapia specificatamente costruito per funzionare come le sessioni in presenza in termini di approccio metodologico, tecniche e protocolli utilizzati. Tutto ciò al fine di garantire un intervento produttivo ed efficace volto a ripristinare una situazione di benessere anche quando svolto non in presenza.
E’ disponibile inoltre un servizio di consulenza online per expat specificatamente dedicato alle esigenze di coloro che risiedono all’estero.
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